Codice esenzione RLO030
Centri regionali di riferimento (per regione Emilia Romagna vedi sito Regione Emilia Romagna) vedi sito
Centri nazionali di riferimento vedi sito
EZIOLOGIA. Malattia bollosa autoimmune. Esiste una predisposizione genetica a produrre anticorpi contro molecole della cute e/o mucose con il risultato finale di uno scollamento delle cellule epiteliali e della formazione di raccolte liquide intra o sottoepiteliali chiamate bolle. Nel pemfigo volgare il bersaglio degli autoanticorpi si trova sulla superficie esterna delle cellule dell'epidermide e degli epiteli mucosi.
QUADRO CLINICO. L'incidenza varia da 0.7 a 5 nuovi casi per milione di abitanti/anno con una distribuzione simile nei due sessi. L'incidenza maggiore si ha nella razza ebraica. In sede mucosa (e quella orale è la più colpita) le bolle tendono a rompersi presto e ad esitare in erosioni; sulla cute invece restano più a lungo integre. La malattia si protrae per anni, ma con tendenza ad un'attenuazione dell'eruttività bollosa. Lasciata a sé può essere fatale perché vaste aree erose di pelle e mucose conducono alla perdita di liquidi e ad infezioni gravi.
DIAGNOSI. La diagnosi viene confermata con la biopsia (un prelievo chirurgico di 2 piccoli frammenti di cute) sui quali si eseguono l'esame istologico e la ricerca degli autoanticorpi (immunofluorescenza diretta). Una diagnosi precoce favorisce un miglioramento anche rapido.
PROGNOSI. La gravità e la storia naturale della malattia sono molto variabili e prima dell'avvento degli steroidi sistemici era possibile il decesso. Oggi la mortalità è molto rara, grazie alla disponibilità di numerosi farmaci che vanno assunti per anni.
TERAPIA. Il farmaco di base è il cortisone e nelle forme orali, diagnosticate precocemente, anche solo localmente è molto efficace. Per via generale va usato preferibilmente in boli e mai quotidianamente sin dall'inizio, con almeno 2 pause settimanali. Solitamente però vengono associati immunosoppressori come l'azatioprina, il micofenolato mofetile e la ciclofosfamide che consentono la riduzione del cortisone alla minima dose efficace. Talvolta la malattia risulta resistente a tale schema terapeutico. In questi casi si ricorre alla somministrazione endovenosa di immunoglobuline o alla plasmaferesi, una sorta di filtrazione del sangue volta a sottrarre gli autoanticorpi responsabili della malattia.